mercoledì 10 febbraio 2016

venerdì 6 novembre 2015

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La serata delle antesterie ( novello Halloween) fra suoni e suggestioni

Grande successo al museo ipogeo spartano di Taranto per la serata da noi organizzata dedicata ai riti greci dai quali hanno tratto spunto gli americani.L'occasione ha fornito occasione di riflessione a proposito del turismo a Taranto . Abbiamo constatato che se l'offerta turistico culturale è adeguata, robusta,esclusiva e di classe i turisti rispondono. Abbiamo offerto antropologia, storia, neurofisiologia, comunicazione, tradizione, suggestioni in un mix riuscito che ha rapito gli ospiti provenienti da tutta la Puglia. La discesa a mare in notturna in una magica nottata è stata la sorpresa finale.
Continueremo imperterriti su questa strada tracciata da più di un decennio.



















ANTESTERIE. – Feste comuni a tutti gli Ionî, ma specialmente note per quelle celebrate in Atene. I tre giorni delle antesterie erano nefasti, in quanto le anime dei morti aveano libera circolazione; perciò si chiudevano i templi cingendoli con una fune, e nelle case si compivano cerimonie apotropaiche si sacrificava a Ermete Ctonio. Alla fine della festa si avvertiano le anime di ritornare alle proprie sedi con una formula che veniva gridata: “alla porta le anime, le antesterie sono finite”. Il primo giorno, l’11 antesterione [ottavo mese del calendario attico nell’antica Grecia, Antesterione andava dalla seconda metà di febbraio alla prima metà di marzo, quindi il 21 febbraio], chiamavasi Pithoigia (“apertura delle botti”). Alla sera si spillava il vino nuovo; si beveva allegramente e potevan partecipare alla festa i ragazzi e gli schiavi; si procedeva alla pubblica vendita del vino sul mercato, e venivano riempiti i recipienti (pithoi) per il giorno seguente. In origine questa era una festa puramente campestre, poi divenuta urbana sotto la presidenza dell’arconte re.

Col tramonto del sole del giorno 12 cominciava la festa dei Chòes (“brocche”), la cui origíne veniva fatta risalire ad Oreste quando giunse in Atene per presentarsi al giudizio per matricidio. Ognuno portava con sê una brocca di vino e il pane; lo stato veniva in aiuto, almeno nel sec. IV a. C., con un contributo speciale, alla spesa per il locale, le corone, i dolci; e sotto la presidenza del sacerdote di Dioniso e dell’arconte si organizzava la gara dei bevitori. Ad un segnale di tromba i bevitori tracannavano; il più svelto ad asciugare la brocca riceveva un otre di vino o altro premio.

La cerimonia religiosa centrale di questa seconda giornata era la sacra processione, che trasportava l’idolo di Dioniso dal Ceramico all’antico tempio delle Paludi attraversando la città. Il trasporto rivestiva uno speciale carattere in quanto la regina, moglie dell’arconte re, accompagnava l’idolo come sposa, assistita da 14 donne (le “venerabili”), le quali con la regina entravano nel tempio e vi compievano riti misteriosi. Durante la processione era permesso il più vivace scambio di scherzi e di lazzi dai carri in mezzo alla folla travestita e mascherata.

Il terzo giorno, la festa delle marmitte, aveva carattere ancor più funerario. In tutte le case si cuoceva la panspermia (seme di ogni pianta) che veniva offerta tutta ed esclusivamente ad Ermete Ctonio e a Dioniso. Si ergevano 14 altari (come 14 furono i pezzi in cui Dioniso Zagreo era stato dilaniato dai Titani) e le 14 donne vi offrivano il sacrifizio a Dioniso.

Non è certo che vi fossero agoni; è probabile però che la processione assumesse forme ditirambiche e drammatiche. Pare che nel giorno delle marmitte si designassero gli attori per le grandi dionisiache.

Da un esame degli elementi di cui constano, è facile ricavare la conclusione che le antesterie furono in origine festa tipicamente agraria e mistica, di Dioniso e dei morti: questo dio appare in esse appunto il signore delle anime. Festa, dunque, di plebi agrarie, servile e di carattere mistico, solo più tardi entrata a far parte della religione “omerica” o “olimpica” della città, insieme con Dioniso; il cui accoppiamento con la Basilimna, moglie dell’arconte-re, diventa il simbolo o il risultato di questa recezione, mentre può far pensare anche a una cerimonia primitiva di carattere magico, tendente a provocare o favorire la fertilità dei campi.
( Tratto da Treccani)

Bibl.: A. Mommsen, Feste der Stadt Athen, Lipsia 1898, p. 384 segg.; M. Nilson, Griech. Feste von religiöser Bedeutung, Lipsia 1906, p. 207 segg.; J. E. Harrison, Prolegomena to the study of Greek religion, 2ª ed., Cambridge 1908, p. 32 segg.; id., Themis, Cambridge 1912, p. 275 segg.; E. Rohde, Psyche, trad. it., Bari 1916, pp. 239 segg. e 378, n. 2; P. Stengel, Die griech. Kultusaltertümer, Monaco 1920; R. Pettazzoni, La religione nella Grecia antica, Bologna (1921), pp. 79-82 e 115 seg.

(Parlando di Dionisio alla fine si sa come andava a finire con le 14 illuninate a lui offerte, il simbolo portato in processione era un grosso fallo)


mercoledì 7 ottobre 2015

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La Persefone, Taranto

Tú sola eres grata a los mortales, disfrutas en primavera con las brisas que recorren los prados, manifestando tu sagrada figura a los vástagos de verdes frutos y llevada a la fuerza al lecho como esposa en el otoño. Tú sola, Perséfone, eres vida y muerte para los muy sufridos mortales, porque constan­temente todo lo alimentas y aniquilas. Escúchame, biena­venturada Diosa y envíanos los frutos de la tierra. Tú, que proporcionas paz, salud y existencia dichosa que aporta una próspera vejez."
Himno Órfico XXIX a Perséfone.

 (By Luciano Giungato)

mercoledì 2 settembre 2015

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L'arte in età ellenistica



Il Fauno Barberini o il Satiro ubriaco è un'antica scultura greca di epoca ellenistica che raffigura un satiro dormiente, probabilmente del 220 a.C. circa. Essa è attualmente conservata presso la Gliptoteca di Monaco (Inv. 218). Proviene da Roma, ove fu ritrovata nei fossati di Castel Sant'Angelo attorno al 1624. Nel 1628 era già nella collezione del cardinale Francesco Barberini. Fu ben presto una delle statue più ammirate di Roma, paragonata per bellezza al mutilo Torso del Belvedere. Conservata in Palazzo Barberini, ove fu ammirata e descritta per due secoli, divenne oggetto di tentativi di acquisto già nella seconda metà del Settecento, come innumeri opere d'arte delle collezioni principesche romane nel periodo del Grand Tour. I Barberini incaricarono Gian Lorenzo Bernini di un delicato restauro dell'opera, rinvenuta mutila di alcune parti.

Fu il principe ereditario Ludovico di Baviera, che stava allestendo la Gliptoteca di Monaco in quegli anni, a spuntarla nel 1814. Il cardinale Pacca fece porre un bando all'esportazione, anche su sollecitazione di Antonio Canova, perché questo capolavoro restasse a Roma; ma dopo alcuni anni di pressioni diplomatiche fu ottenuta la revoca del bando e la scultura partì da Roma alla fine del 1819. il 6 gennaio 1820 arrivò a Monaco, ove fu collocata in un emiciclo a lei appositamente destinato da tempo nella Glyptothek. È tuttora considerata un capolavoro dell'arte ellenistica.

( da wikipedia )

lunedì 13 luglio 2015

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Invidia e gelosia : Erinni ed Hera ( sentimenti attuali più che mai)

Come può l’invidia, in quanto emozione primitiva e fondamentale, più precoce della gelosia,  e caratteristica di un assetto mentale meno organizzato, riuscire ad inserirsi in maniera sufficientemente armonica nel processo di integrazione dell’identità?
Il sentimento di invidia nasce dalla relazione d’amore con l’oggetto desiderato, cioè con aspetti che vengono visti nell’altro, aspetti che si amano, che si ammirano e con cui si desidera essere in contatto per possederli. Quando l’invidia diventa pensabile, consapevole, lascia il posto a dolorosi sentimenti di mancanza. Essa spinge l’invidioso a cercare il contatto con l’oggetto invidiato poiché avidamente considera gli aspetti proiettati nell’altro fonte della propria vitalità: nel contatto c’è tutto quello che egli considera indispensabile per vivere. La funzione di ciò è arrivare ad appropriarsi delle qualità dell’oggetto invidiato. Con la proiezione di aspetti vitali sull’oggetto invidiato, però, la mente dell’invidioso sente, da una parte, l’oggetto sempre più vitale e, dall’altra, gli sembra sempre più lontana la possibilità di appropriarsi di queste qualità. Il suo mondo interno gli appare sempre più svuotato. La frustrazione che nasce dalla ricerca di aspetti che vengono visti appartenenti ad altro da sé, provoca forti sentimenti di perdita e disperazione e questo, a sua volta, aumenta l’intensità del sentimento d’invidia.
L’oggetto invidiato è l’oggetto amato ed idealizzato che diventa odiato poichè pone di fronte all’impossibilità di possederlo e dunque alla propria incompletezza: ecco perchè si distrugge. Il senso di colpa è proprio di questi processi e di situazioni meno integrate, dove i sentimenti sono più intensi e primitivi e appare un’angoscia persecutoria. È evidente, dunque, che se l’invidia non viene integrata e modulata con altri aspetti meno distruttivi va a danneggiare anche gli aspetti che sono vitali.

Erinni ( le furie) 
Vendetta-Invidia


Hera ( moglie di Zeus) 
Gelosia


Questi due sentimenti condizionano sempre le relazioni interpersonali, sono destruenti per chi li prova e nocumentosi per chi ne è oggetto. Storia attuale più che mai.

mercoledì 27 maggio 2015

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Il grande pericolo per un territorio: l'ignoranza

La crescita di un territorio subisce un grande condizionamento ovvero l'ignoranza. L'ignoranza è un dolce veleno nefasto ma tranquillizante in quanto condito dal riconoscimento da parte della vasta categoria degli ignoranti, deresponsabilizza, non pone quesiti, dubbi, perplessità. Non induce all'approfondimento ed agisce come antidepressivo ovvero non sbatte in faccia la consapevolezza della pochezza del proprio sapere.
L'ignoranza è pericolosa, crea falsi miti fondati nell'argilla, è una sirena che induce ai facili entusiasmi senza consapevolezza. E' facile da bere e scende inebriandoti nella mancanza di contradditorio.
Il dramma dei grandi pensatori del passato che hanno determinato le rivoluzioni è sempre stato la solitudine, la crescita non consente le facili aggregazioni senza robuste fondamenta, un edificio dalle fondamente di burro è destinato a crollare ma è sempre il tempo a stabilirlo.
Gli antichi greci avevano gli antidoti all'ignoranza ovvero i miti ed Atena era la portatrice della sapienza.
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Atena:
Atena (gr. ᾿Αϑήνη o ᾿Αϑηνᾶ) Dea greca, dai Romani identificata poi con Minerva. Già venerata dai Micenei del 13° sec. a.C. con l’epiteto di potinija (πότνια «signora»), ma certo ancora più antica, conserva in età storica alcuni attributi che sembrano appunto risalire all’età micenea: il serpente e la trasformazione in uccello (solo più tardi l’uccello sacro diventa la civetta, γλαῦξ, raccostata ad A. anche per l’epiteto glaucopide). Il serpente potrebbe connetterla alla dea cretese dei serpenti, divinità domestica cui è affidata la protezione della casa: un aspetto che ritorna nell’A. classica, protettrice delle arti, specialmente quelle femminili del filare e del tessere, ma anche quelle maschili del lavoro operoso e intelligente.
A. Ergane(᾿Εργάνη «la industre») fu popolarissima in età storica ed ebbe un culto diffuso: oltre che ad Atene, a Delfi, Epidauro, Olimpia, Sparta e altrove. La religione omerica ne fece una dea guerriera ( A. Pallade «lanciatrice d’asta», da πάλλω «scagliare»): da Ares, dio della guerra violenta e sanguinosa, A. si distingue per il combattere ordinato e intelligente. Questo aspetto è legato infatti alla sua funzione più importante, quella di protettrice del sovrano e poi della città. Sull’acropoli A. Poliade (Πολιάς) ha quindi il suo tempio (ad Atene, a Sparta, ad Argo, a Megara, ad Agrigento ecc.), ed è congiunta nel culto a Zeus Πολιεύς: il mito la riconosce figlia di Zeus, generata dal cervello del padre. Come protettrice della città, essa è armata della lancia, ma soprattutto dell’egida; cura anche l’amministrazione della giustizia (un motivo quest’ultimo particolarmente ateniese).
Nel mondo greco però, A. rimane dea della città cui è connessa anche attraverso il nome: ad Atene si celebravano infatti in suo onore le splendide Panatenee; in Atene sarebbe stato serbato il Palladio originale, la statua dotata di proprietà magiche che si diceva rappresentasse Pallade A.; per Atene e per l’Attica essa sfida Posidone. Quest’ultimo episodio narra la creazione dell’ulivo, che A. dona agli Ateniesi e agli uomini tutti: un motivo che riconduce all’ultimo aspetto della sua figura, quello di dea della vegetazione e dei lavori agricoli.
Le più antiche figurazioni di A. erano sotto forma di idoli primitivi, come il Palladio dei poemi omerici: la dea sta in piedi, rigida, con la lancia nella destra alzata e lo scudo imbracciato (idoli dell’Eretteo, di Sparta come Calcieco, di Pergamo ecc.). Questa figurazione perdurerà anche in periodo classico quale motivo tradizionale. Attributi caratteristici della dea divengono, oltre le armi, l’egida con il gorgòneion (testa della Gorgone), e talvolta nell’arte orientalizzante e arcaica il pòlos (ornamento per la testa, chiuso nella parte superiore); più raro il tipo alato, che perdura peraltro fino all’età romana. Nell’arcaismo sorgono anche il tipo della Pròmachos, rappresentata in movimento (vasi dipinti, bronzetti, frontoni dello Hekatòmpedon, di Egina), o mentre siede (statua di Endòios). I simulacri di culto del periodo classico raffigurano la dea in piedi, panneggiata, armata e talvolta con patera, spesso con la Nike sulla mano: l’esempio più famoso è l’A. Parthenos di Fidia
( Treccani)


lunedì 18 maggio 2015

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Il mito di Lamia



Belo, re d’ Egitto, ebbe una figlia bellissima, la chiamò Lamia e divenne regina della Libia. La sua bellezza cresceva con lei e questo particolare non sfuggì agli occhi di Zeus, anzi, entrò presto nel suo cuore. Lamia e Zeus ebbero molti figli e questo scatenò le ire di Era che, non sopportando né il loro amore né l’ affronto, scatenò tutte le proprie ire sulla progenie di Lamia e di Zeus, uccidendo tutti i loro figli ad eccezione di Scilla e Sibilla.

Lamia venne invasa dal dolore che fu così forte da trasformarla innanzitutto nel carattere; divenne vendicativa verso chi non aveva colpe, iniziò a succhiare il sangue dei bambini e a divorarli per infliggere la sua stessa sofferenza ad altre madri. Poi la trasformazione passò anche al suo corpo: la bellezza svanì, divenne un mostro in grado di mutare forma e di riassumere un aspetto seducente solo per poter attrare ragazzi e bambini da divorare, nella grotta in cui fu costretta a ritirarsi.

domenica 17 maggio 2015

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Prossimamente Pegaso sarà nel museo spartano



Pegaso è una figura della mitologia greca. È il più famoso dei cavalli alati. Secondo il mito, nacque dal terreno bagnato dal sangue versato quando Perseo tagliò il collo di medusa. Secondo un'altra versione, Pegaso sarebbe balzato direttamente fuori dal collo tagliato del mostro, insieme a Crisaore

Animale selvaggio e libero, Pegaso viene inizialmente utilizzato da Zeus per trasportare le folgori fino all'olimpo. Grazie alle briglie avute in dono da Atena, viene successivamente addomesticato da Bellerofonte, che se ne serve come cavalcatura per uccidere la Chimera. Dopo la morte dell'eroe, avvenuta per essere caduto da Pegaso, il cavallo alato ritorna tra gli dei.

Nella famosa gara di canto tra le muse e le pieridi, Pegaso aveva colpito con uno zoccolo il monte Elicona, che si era ingigantito fino a minacciare il cielo dopo aver udito il celestiale canto delle dee. Dal punto colpito dallo zoccolo di Pegaso nacque una sorgente, chiamata Ippocrene, o "sorgente del cavallo". Nello stesso modo, Pegaso fece scaturire una sorgente a Trezene.

Terminate le sue imprese, Pegaso prende il volo verso la parte più alta del cielo e si trasforma in una nube di stelle scintillanti che hanno formato una costellazione, tuttora chiamata Pegaso. ( wikipedia)



giovedì 14 maggio 2015

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Taranto spartana : le baccanti


Conosciuto il vino e i suoi effetti, Dioniso volle che tutti gli uomini lo conoscessero e intraprese un lungo viaggio portando con sé il numeroso corteo di Ninfe, i Satiri, gli Egipani e le Menadi chiamate anche Baccanti, Thiadi e Bassàridi. Le Baccanti erano le sacerdotesse di Dioniso, venivano comunemente rappresentate nel delirio dell'ebbrezza, con gli occhi stravolti, la voce rauca e minacciosa, coi capelli sciolti e sparsi sulle spalle, nella foga del furore e dell'entusiasmo.Vestite con pelli animali, con in testa una corona di edera o quercia o abete, esse celebravano il dio cantando, danzando e vagando come animali per monti e foreste.Nell'iconografia classica le menadi vengono raffigurate come l'oggetto del desiderio dei satiri tra le braccia dei quali vengono spesso raffigurate.

mercoledì 29 aprile 2015

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I dioscuri a Taranto

Rituali di guerra: i dioscuri a Taranto e Sparta


Stipe = Stipe: in archeologia, lo scarico di oggetti votivi e di varia natura rinvenuti in depositi e cumuli. Quando la quantità delle offerte alla divinità diventava eccessiva, il materiale di minore valore veniva depositato in una fossa nei pressi del luogo di culto e sepolto per non essere profanato.



D.3.g.12
,Piazza Marconi, 3 frr. su 136, 
LIPPOLIS
1995, p. 113.
08.Stipe D.3.g.13
,Via Leonida 76, 37 frr. su 253,
  LIPPOLIS
1995, pp. 113-114.
09.Stipe D.3.g.16
,Via Minniti, tra v. Oberdan e v. Mazzini, 129 frr. su 135 coroplastici + 89 frr. di vasivotivi; 6 frr. altro (recumbente 2, ceramica e varia), 
LIPPOLIS
1995, pp. 114-115.
10.Stipe D.3.g.19
,Proprietà Cacace, 9 frr. su 147 (contesto incompleto),L IPPOLIS
1995, pp. 115-116.
11.Stipe D.3.g.21
,II bacino di carenaggio, 6 frr. su 54, 
LIPPOLIS
1995, p. 116.
12.Stipe D.3.g.22
,II bacino di carenaggio, 1 fr. su 130, P
LIPPOLIS
1995, pp. 116-117.
13.Stipe D.3.g.25
,Proprietà Lo Jucco, Masseria Tesoro, 168 frr. su 168 + 32 anfore, 
LIPPOLIS
1995, pp. 117-118.
14.Stipe D.3.g.32
,Via Crispi 78, 2 frr. su 159,
LIPPOLIS
1995, pp. 119-120.
15.Stipe D.3.g.34
,Via Icco, 1 fr. su 62,
 

martedì 28 aprile 2015

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Thanatos











Tànato, che i romani chiamavano Mors, rappresentava la morte, era inaccessibile a ogni sentimento di pietà: veniva rappresentato come un uomo barbuto e alato, con una veste nera, con in mano la scure dei sacrifici, di cui si serviva per recidere un ricciolo al morente. Tuttavia due strane leggende di origine popolare narrano che il terribile Tànato fu costretto a cedere il corpo di Alcèsti ad Ercole e anche in un'altra occasione venne incatenato da Sisifo. Dal suo nome deriva la tanatofobia, la paura della morte.