mercoledì 27 maggio 2015

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Il grande pericolo per un territorio: l'ignoranza

La crescita di un territorio subisce un grande condizionamento ovvero l'ignoranza. L'ignoranza è un dolce veleno nefasto ma tranquillizante in quanto condito dal riconoscimento da parte della vasta categoria degli ignoranti, deresponsabilizza, non pone quesiti, dubbi, perplessità. Non induce all'approfondimento ed agisce come antidepressivo ovvero non sbatte in faccia la consapevolezza della pochezza del proprio sapere.
L'ignoranza è pericolosa, crea falsi miti fondati nell'argilla, è una sirena che induce ai facili entusiasmi senza consapevolezza. E' facile da bere e scende inebriandoti nella mancanza di contradditorio.
Il dramma dei grandi pensatori del passato che hanno determinato le rivoluzioni è sempre stato la solitudine, la crescita non consente le facili aggregazioni senza robuste fondamenta, un edificio dalle fondamente di burro è destinato a crollare ma è sempre il tempo a stabilirlo.
Gli antichi greci avevano gli antidoti all'ignoranza ovvero i miti ed Atena era la portatrice della sapienza.
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Atena:
Atena (gr. ᾿Αϑήνη o ᾿Αϑηνᾶ) Dea greca, dai Romani identificata poi con Minerva. Già venerata dai Micenei del 13° sec. a.C. con l’epiteto di potinija (πότνια «signora»), ma certo ancora più antica, conserva in età storica alcuni attributi che sembrano appunto risalire all’età micenea: il serpente e la trasformazione in uccello (solo più tardi l’uccello sacro diventa la civetta, γλαῦξ, raccostata ad A. anche per l’epiteto glaucopide). Il serpente potrebbe connetterla alla dea cretese dei serpenti, divinità domestica cui è affidata la protezione della casa: un aspetto che ritorna nell’A. classica, protettrice delle arti, specialmente quelle femminili del filare e del tessere, ma anche quelle maschili del lavoro operoso e intelligente.
A. Ergane(᾿Εργάνη «la industre») fu popolarissima in età storica ed ebbe un culto diffuso: oltre che ad Atene, a Delfi, Epidauro, Olimpia, Sparta e altrove. La religione omerica ne fece una dea guerriera ( A. Pallade «lanciatrice d’asta», da πάλλω «scagliare»): da Ares, dio della guerra violenta e sanguinosa, A. si distingue per il combattere ordinato e intelligente. Questo aspetto è legato infatti alla sua funzione più importante, quella di protettrice del sovrano e poi della città. Sull’acropoli A. Poliade (Πολιάς) ha quindi il suo tempio (ad Atene, a Sparta, ad Argo, a Megara, ad Agrigento ecc.), ed è congiunta nel culto a Zeus Πολιεύς: il mito la riconosce figlia di Zeus, generata dal cervello del padre. Come protettrice della città, essa è armata della lancia, ma soprattutto dell’egida; cura anche l’amministrazione della giustizia (un motivo quest’ultimo particolarmente ateniese).
Nel mondo greco però, A. rimane dea della città cui è connessa anche attraverso il nome: ad Atene si celebravano infatti in suo onore le splendide Panatenee; in Atene sarebbe stato serbato il Palladio originale, la statua dotata di proprietà magiche che si diceva rappresentasse Pallade A.; per Atene e per l’Attica essa sfida Posidone. Quest’ultimo episodio narra la creazione dell’ulivo, che A. dona agli Ateniesi e agli uomini tutti: un motivo che riconduce all’ultimo aspetto della sua figura, quello di dea della vegetazione e dei lavori agricoli.
Le più antiche figurazioni di A. erano sotto forma di idoli primitivi, come il Palladio dei poemi omerici: la dea sta in piedi, rigida, con la lancia nella destra alzata e lo scudo imbracciato (idoli dell’Eretteo, di Sparta come Calcieco, di Pergamo ecc.). Questa figurazione perdurerà anche in periodo classico quale motivo tradizionale. Attributi caratteristici della dea divengono, oltre le armi, l’egida con il gorgòneion (testa della Gorgone), e talvolta nell’arte orientalizzante e arcaica il pòlos (ornamento per la testa, chiuso nella parte superiore); più raro il tipo alato, che perdura peraltro fino all’età romana. Nell’arcaismo sorgono anche il tipo della Pròmachos, rappresentata in movimento (vasi dipinti, bronzetti, frontoni dello Hekatòmpedon, di Egina), o mentre siede (statua di Endòios). I simulacri di culto del periodo classico raffigurano la dea in piedi, panneggiata, armata e talvolta con patera, spesso con la Nike sulla mano: l’esempio più famoso è l’A. Parthenos di Fidia
( Treccani)


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