venerdì 30 ottobre 2015

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Halloween, la rivisitazione delle antiche antesterie Sabato 31 10 15 ore 22 al museo spartano ipogeo Taranto






ANTESTERIE. – Feste comuni a tutti gli Ionî, ma specialmente note per quelle celebrate in Atene. I tre giorni delle antesterie erano nefasti, in quanto le anime dei morti aveano libera circolazione; perciò si chiudevano i templi cingendoli con una fune, e nelle case si compivano cerimonie apotropaiche si sacrificava a Ermete Ctonio. Alla fine della festa si avvertiano le anime di ritornare alle proprie sedi con una formula che veniva gridata: “alla porta le anime, le antesterie sono finite”. Il primo giorno, l’11 antesterione [ottavo mese del calendario attico nell’antica Grecia, Antesterione andava dalla seconda metà di febbraio alla prima metà di marzo, quindi il 21 febbraio], chiamavasi Pithoigia (“apertura delle botti”). Alla sera si spillava il vino nuovo; si beveva allegramente e potevan partecipare alla festa i ragazzi e gli schiavi; si procedeva alla pubblica vendita del vino sul mercato, e venivano riempiti i recipienti (pithoi) per il giorno seguente. In origine questa era una festa puramente campestre, poi divenuta urbana sotto la presidenza dell’arconte re.

Col tramonto del sole del giorno 12 cominciava la festa dei Chòes (“brocche”), la cui origíne veniva fatta risalire ad Oreste quando giunse in Atene per presentarsi al giudizio per matricidio. Ognuno portava con sê una brocca di vino e il pane; lo stato veniva in aiuto, almeno nel sec. IV a. C., con un contributo speciale, alla spesa per il locale, le corone, i dolci; e sotto la presidenza del sacerdote di Dioniso e dell’arconte si organizzava la gara dei bevitori. Ad un segnale di tromba i bevitori tracannavano; il più svelto ad asciugare la brocca riceveva un otre di vino o altro premio.

La cerimonia religiosa centrale di questa seconda giornata era la sacra processione, che trasportava l’idolo di Dioniso dal Ceramico all’antico tempio delle Paludi attraversando la città. Il trasporto rivestiva uno speciale carattere in quanto la regina, moglie dell’arconte re, accompagnava l’idolo come sposa, assistita da 14 donne (le “venerabili”), le quali con la regina entravano nel tempio e vi compievano riti misteriosi. Durante la processione era permesso il più vivace scambio di scherzi e di lazzi dai carri in mezzo alla folla travestita e mascherata.

Il terzo giorno, la festa delle marmitte, aveva carattere ancor più funerario. In tutte le case si cuoceva la panspermia (seme di ogni pianta) che veniva offerta tutta ed esclusivamente ad Ermete Ctonio e a Dioniso. Si ergevano 14 altari (come 14 furono i pezzi in cui Dioniso Zagreo era stato dilaniato dai Titani) e le 14 donne vi offrivano il sacrifizio a Dioniso.

Non è certo che vi fossero agoni; è probabile però che la processione assumesse forme ditirambiche e drammatiche. Pare che nel giorno delle marmitte si designassero gli attori per le grandi dionisiache.

Da un esame degli elementi di cui constano, è facile ricavare la conclusione che le antesterie furono in origine festa tipicamente agraria e mistica, di Dioniso e dei morti: questo dio appare in esse appunto il signore delle anime. Festa, dunque, di plebi agrarie, servile e di carattere mistico, solo più tardi entrata a far parte della religione “omerica” o “olimpica” della città, insieme con Dioniso; il cui accoppiamento con la Basilimna, moglie dell’arconte-re, diventa il simbolo o il risultato di questa recezione, mentre può far pensare anche a una cerimonia primitiva di carattere magico, tendente a provocare o favorire la fertilità dei campi.
( Tratto da Treccani)

Bibl.: A. Mommsen, Feste der Stadt Athen, Lipsia 1898, p. 384 segg.; M. Nilson, Griech. Feste von religiöser Bedeutung, Lipsia 1906, p. 207 segg.; J. E. Harrison, Prolegomena to the study of Greek religion, 2ª ed., Cambridge 1908, p. 32 segg.; id., Themis, Cambridge 1912, p. 275 segg.; E. Rohde, Psyche, trad. it., Bari 1916, pp. 239 segg. e 378, n. 2; P. Stengel, Die griech. Kultusaltertümer, Monaco 1920; R. Pettazzoni, La religione nella Grecia antica, Bologna (1921), pp. 79-82 e 115 seg.

(Parlando di Dionisio alla fine si sa come andava a finire con le 14 illuninate a lui offerte, il simbolo portato in processione era un grosso fallo)

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