lunedì 18 maggio 2015

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La condizione femminile a Sparta

  ( foto F.P. Occhinegro )

A Sparta le donne erano sufficientemente libere, e ciò era dovuto dal fatto che la famiglia quasi non esisteva, perché i bambini venivano educati dalla polis e i mariti dedicavano gran parte del loro tempo all’allenamento del corpo. La donna spartana fin dalla tenera età praticava sport, e cioè ginnastica, corsa, lancio del disco e del giavellotto, e doveva fare gli stessi allenamenti ai quali erano sottoposti gli uomini fino all’età di 16 anni, quando le due figure, maschile e femminile, prendevano direzioni diverse. L’educazione atletica aveva importanti effetti: rendeva le donne più belle ( e gli spartani erano molto legati al pensiero di efficienza fisica), era un modo per generare figli sani che poi sarebbero divenuti validi guerrieri, rendeva le donne spartane più forti e più fiduciose in se stesse, quindi poco disposte a farsi dominare dall’ uomo, più libere insomma. 



La società spartana valorizzava per questo la donna e la poneva sullo stesso piano dell’uomo, pur mantenendo delle differenze nei ruoli. A differenza dunque della condizione femminile ateniese non vi era nessuna forma di "reclusione" domestica: le donne potevano partecipare ai banchetti con i mariti, uscire e passeggiare tranquillamente per la polis. Ad andare in guerra erano, certo, gli uomini - impegnati sovente, anche in tempo di pace, in esercitazioni militari – ma questo non escludeva una forte responsabilizzazione della donna su più livelli. Nel contesto dei rigidi costumi che caratterizzavano la città lacedemone, alle donne spartane era vietato qualunque lusso nel vestiario e nelle acconciature: non potevano indossare gioielli; gli abiti erano costituiti da una tunica corta tenuta ferma ai fianchi da una cintura; non potevano essere importati tessuti e nemmeno fabbricati cosmetici; le vesti non dovevano avere colori. Dalla situazione di Sparta possiamo dedurre che la distinzione più importante non era tra uomini e donne, bensì tra Spartiati, cittadini a pieno titolo, e gli altri (esistevano infatti anche i Perieci, con diritti civili, e gli Iloti, veri e propri schiavi): l’appartenenza sessuale implicava dunque una distinzioni di ruoli che però non escludeva le donne dall’assunzione di responsabilità. Per questo anche le ragazze erano destinatarie di un’educazione basata sugli stessi valori e sulla stessa concezione del mondo maschile, un’educazione che le rendeva più dominanti che dominate. Ecco allora che il ruolo della donna diveniva anch’esso ispirato a un grande amore per la gloria, per il valore individuale, per il prestigio della nazione, per una continua emulazione delle virtù, e per il rifiuto degli allettamenti mondani, così come spiega F. Palazzi. La Spartana doveva essere madre e donna modello, rappresentare un esempio costante, porsi come custode dei valori fondanti, del codice d’onore della comunità, appartenendo più allo Stato che alla famiglia. In tal senso assai simbolica è la cerimonia antichissima della consegna dello scudo, nel corso della quale le mogli e le madri, vestite di bianco e con il capo velato, si disponevano davanti allo schieramento dei soldati in partenza e, uscite dai ranghi al suono del corno deponevano lo scudo ai piedi del proprio figlio, scudo poi raccolto e infilato al braccio da essi, declamando sempre le donne la formula: “Torna con questo o sopra di questo” (cerimonia che è citata anche da Smith). Perché solo i vincitori non avrebbero mai gettato lo scudo per scappare più velocemente, oppure perché, cadendo in battaglia, il loro corpo sarebbe stato riportato su di esso.

Paragonando la condizione della donna ad Atene e a Sparta si può quindi concludere che nella polis democratica le donne sono molto meno libere che a Sparta: il paradosso sta proprio in questa differenza perché dovremmo aspettarci l’esatto contrario. D’altra parte è probabilmente proprio il modello spartano che spinge Platone ad ipotizzare per la sua Repubblica la possibilità di un accesso al compito di reggere lo Stato non solo per gli uomini ma anche per le donne.

Bibliografia

U.E.Paoli, La donna greca nell’antichità, Le Monnier, 1953; G.Smith, Storie di Grecia, Barbera, 1880; F.Palazzi, La civiltà greca, Unitas, 1903

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