venerdì 24 aprile 2015

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Orazio e Taranto








Il poeta, stanco dei viaggi, del mare, del servizio militare, anela ad una dimora placida. Il suo sogno sarebbe quello di trascorrere la vecchiaia a Tivoli, luogo sognato per il riposo dopo le battaglie e i viaggi per terra e per mare. Ma se questo non sarà possibile allora egli esprime il desiderio di morire a Taranto, dove scorre il Galeso: la pianura tarentina viene vagheggiata come luogo ideale dell'idillio. Ricorda le nobili origini della città nominando il mitico ecista spartano, Falanto ed enumera le risorse e le piacevolezze del luogo. Il territorio presso il Galeso viene definito ridente (ille terrarum praeter omnes angulus ridet), le acque del Galeso sono dolci (Galaesi dulce flumen), presso il fiume vengono allevate pecore dal vello pregiato (pellitis ovibus) e si produce miele di qualità non inferiore a quello dell' Imetto (non Hymetto mella decedunt). Tra gli altri prodotti della zona vengono ricordate le olive che gareggiano con quelle del Venafro (viridique certat baca Venafro) e il vino, prodotto dalle viti coltivate sul monte Aulone (et amicus Aulon fertili Baccho minimum Falernis invidet uvis). Lì il cielo offre un tiepido inverno e una lunga primavera (ver ubi longum tepidasque praebet Iuppiter brumas): il clima favorevole e le altre piacevolezze fanno del tarantino un luogo adatto a soggiorni piacevoli, tanto da essere denominato "beatae arces" Anche in altri passi Orazio cita Taranto come località ridente e fertile: in III,5,56 "Lacaedaemonium Tarentum" è indicata come località di villeggiatura, in cui riposarsi dai "longa negotia clientum", quasi gli emblemi di un'affannosa e stressante vita cittadina. In Sat.II,4,34 il poeta vanta la bontà dei frutti di mare della molle Tarentum, paragonati alle ostriche del Circeo, ai ricci di Capo Miseno. In Ep.,I,7,45, rivolgendosi a Mecenate, Orazio afferma di preferire a Roma, regina del mondo (Roma regia), "imbelle Tarentum": ove l'aggettivo imbellis non ha una connotazione negativa, ma allude al carattere gaudente e riposante della vita tarantina, particolarmente idonea alla realizzazione dell'ideale esistenziale oraziano, che anela alla libertà dalle seccature e dalle preoccupazioni della vita cittadina, dallo stress che talvolta deriva da una vita ricca di rapporti clientelari o amichevoli. In III,16,25 quicquid arat inpiger Apulus allude all'intensa attività agricola del contadino pugliese, che conserva grandi quantità di cereali nei suoi granai. Molto significativo è il verso 11 dell'epistola XVI, in cui descrive l'amenità del suo fondo all'amico Quinzio e ne enumera le bellezze: Orazio parlando del clima favorevole, della vegetazione rigogliosa, che fornisce ombra per il bestiame e per il padrone, afferma: "... dicas adductum propius frondere Tarentum": è chiaro, quindi che le bellezze naturali di Taranto sono quasi proverbiali nell'immaginario collettivo della società Romana di epoca augustea; Taranto è il luogo ombroso per eccellenza e qualsiasi località che goda di favorevoli condizioni climatiche e ambientali non può che essere confrontata con la stupenda città pugliese.

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