Saffo
Saffo poetessa greca di
Lesbo (fine sec. 7° - prima metà sec. 6° a. C.). Nacque ad Ereso, ma visse nella principale città di Lesbo,
Mitilene. Era di famiglia nobile e secondo una notizia antica fu, tra il 607 e il 590, in esilio in
Sicilia,
forse perché in contrasto con la stirpe dei Cleanattidi, dominante in
Mitilene. Fu amica di Alceo, che l'ammirò molto; ebbe una figlia,
Cleide, e tre fratelli, Larico, Carasso ed Eurigio, dei quali parla
nelle sue poesie. La sua vita trascorse, dedicata esclusivamente alla
poesia, in un tiaso dove, attorno a S., si raccoglievano le fanciulle di
Lesbo e straniere che esercitavano la poesia, la musica e la danza. Per
queste fanciulle S. esprime nelle sue poesie sentimenti d'amore, sui
quali fin dai tempi antichi si è discusso, cercando un'interpretazione
che non urtasse la sensibilità morale dei tempi classici e poi dei
nostri tempi; ma non è possibile in realtà interpretare le espressioni
saffiche altrimenti da quel che impone la loro evidente chiarezza. Una
sorte singolare ebbe S., per aver celebrato gli amori di Afrodite e del
demone
Faone:
si creò la leggenda di un amore disperato di S. per un giovinetto
Faone, che avrebbe condotto la poetessa a suicidarsi gettandosi dalla
rupe di
Leucade.
Il motivo, divenuto famoso, fu ripreso da Ovidio e passò anche nel
neopitagorismo, in cui il suicidio di S. simboleggia l'anima dell'uomo
che si annega nell'armonia del creato. La stessa antichità era però
consapevole della natura leggendaria di questa vicenda; da alcuni versi
di S. risulta che ella giunse a tarda età. I carmi lirici di S. furono
raccolti e ordinati dai grammatici alessandrini in nove libri, tenendo
conto in parte del metro, in parte del contenuto: il primo libro, per
es., raccoglieva tutte le liriche in strofe saffiche, l'ultimo tutti gli
epitalamî (in metri diversi). Di molte migliaia di versi rimane
pochissimo: soltanto un'ode intera, un'altra mutila alla fine, ampî
frammenti spesso di lettura difficilissima e disperata, ritrovati in
gran parte nelle scoperte papirologiche recenti; molti altri frammenti,
di uno o due o pochissimi versi, sono conservati da citazioni di
grammatici e metricologi antichi. Il dialetto usato è l'eolico, come in
Alceo; forse si insinuano in esso degli epicismi, e non è del tutto
accettabile parlare, come si è fatto, di un'assoluta purezza dialettale.
Il tipo di composizione è la lirica monodica, ma S. compose anche
poesie corali, i cui caratteri metrici non hanno affinità con la
struttura del coro di Alcmane,
Stesicoro,
Pindaro, ecc. Singolare nelle forme, raffinatissima nella lingua, la
poesia eolica di S. e di Alceo fu ripresa come modello dai poeti
ellenistici e, attraverso questi, dai neoteroi latini e da Orazio; un
suo influsso si può però anche riscontrare nei tragici e in
Aristofane. La poesia di S. rappresenta una delle maggiori vette raggiunte dalla
lirica di tutti i tempi. La lingua, la musicalità perfetta ed
essenziale, l'immagine purissima e pregnante, l'assoluta assenza d'ogni
ornamento che non sia perfettamente fuso nel disegno, nel colore e nella
musicalità dell'immagine, ne fanno un esempio unico di liricità
pienamente realizzata. D'altra parte, la poesia di S., la cui
ispirazione nasce da una ristretta gamma di sentimenti (l'amore, innanzi
tutto, vissuto in tutte le sue forme, dalla passione travolgente e
dalla gelosia alla contemplazione estatica che risolve in una sola
immagine l'oggetto amato e la bellezza dell'universo con cui si paragona
e in cui vive), è quanto di più lontano possa essere dall'estetismo e
dall'alessandrinismo. Non v'è alcun elemento di compiacenza esteriore;
l'amore per il bello e le cose che ridestano la sensibilità sottile e
raffinata dell'artista e della donna serba sempre una immediata
schiettezza, che lo salva da ogni sensualismo programmatico. S. è
semplicemente una donna che ama, gode e soffre le bellezze della natura,
degli animali, delle cose che la circondano, non già istintivamente -
ché anzi ha coscienza di questo suo singolare essere fatta per una
esclusiva passione, fuori d'ogni conformismo di valori comunemente
accettati -, né con semplicità d'animo, ma tuttavia spontaneamente e
senz'altra mediazione che l'infinita capacità di canto.
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