giovedì 23 aprile 2015

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La storia geologica di Taranto: Prof. Giuseppe Mastronuzzi

Tratto dal libro " Il mistero della marchesa" centro culturale Filonide editore.












Taranto e la sua storia geomorfologica




Giuseppe Mastronuzzi




II Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali decentrata a Taranto

Dipartimento di Geologia e Geofisica, Università degli Studi “Aldo Moro”- Bari







Introduzione

Se dovessimo pesare la storia geologica dell’area della città di Taranto rispetto alla storia geologica del pianeta, ci accorgeremmo della sua totale assenza per circa i 1x10-4 dei circa 4.5 miliardi di rispettabilissimi anni di età della Terra: decisamente molto. Se al contrario considerassimo la storia dell’uomo, ci accorgeremmo che dalla comparsa del genere Homo sul pianeta, ben lontano da Taranto, nel corno d’Africa, sono passati circa 2 milioni di anni; la presenza antropica nell’area di Taranto, pur antica, corrisponderebbe solo a circa all’1% della storia dell’Homo. Se invece facessimo riferimento esclusivamente a noi, Homo sapiens sapiens, ci accorgeremmo che l’area geografica di Taranto ospita vestigia e testimonianze di tutta la storia di quell’uomo di cui noi, per ora, rappresentiamo la fase più evoluta. Ma perché questa incredibile differenze del peso della storia geologica e della storia umana nell’area di Taranto?

Siamo abituati a pensare al mondo fisico, geologico, come a qualcosa di immutabile nel tempo; anche la percezione delle catastrofi naturali è distorta a causa di un approccio antropocentrico, se vogliamo comprensibile ma non giustificato, del pianeta e del tempo. I 78/80 anni di vita media – nostri, dell’uomo del mondo occidentale, non certo degli Indios dell’Amazonia o dei Boscimani africani o di altre popolazioni che rispetto a noi sono indietro nella modernizzazione – sono un attimo rispetto alla vita del pianeta. La terra è un corpo celeste che vive: è nato, si è modificato raggiungendo la sua attuale configurazione, si spegnerà… Nei suoi 4.5 miliardi di anni di vita è stata una successione continua, lentissima ma a volte parossistica, catastrofica se l’uomo fosse stato coinvolto, di processi di modellamento del paesaggio che nel tempo hanno portato a configurare quello attuale. Solo (!) circa 65 milioni di anni fa non esisteva un Mar Mediterraneo ma un oceano, la Tetide, che separava la paleo-Africa dalla paleo-Europa. Un mare tropicale, nel quale isole prossime al continente erano abitate da una fauna in buona parte estinta come testimoniato dall’imponente collezione di tracce fossili di dinosauri conservate ad Altamura. Quell’oceano poi è stato chiuso fra le paleo Africa, Europa ed Asia e si è formato un Mar Mediterraneo ancestrale. Esso, circa 8 milioni di anni fa, in una fase di caldo più caldo dell’attuale e del quale non era colpevole nessun uomo perché ancora non esisteva, è completamente – o quasi – evaporato lasciando una enorme depressione salata. Poi è rientrato il mare; sono così ripresi i processi continui di modellamento delle coste in funzione dei movimenti del mare. Questo sino a che, forse non più di 2 milioni di anni fa, il Mar Mediterraneo ha raggiunto una configurazione simile a quella attuale. C’era già l’Homo; eppure Taranto ancora non esisteva; anzi, meglio, non erano ancora formate le rocce sulle quali poi essa sarebbe stata edificata.

Nel corso del Pleistocene Inferiore, da 2 a circa 1 milione di anni fa l’Appennino ha continuato ad accartocciarsi sulla Puglia; da allora in poi esso sembra essersi fermato, anche se il suo assestamento determina ancora disastrosi terremoti. Ma come sempre nella storia del pianeta, in questi milioni di anni, lentamente, i moti millenari del pianeta e la posizione relativa del sole, oltre alla ciclicità della sua attività energetica, combinandosi hanno determinato evidenti variazioni del clima, conseguenza di bilanci termici a volte positivi a volte negativi. Si sono definiti periodi glaciali, mediamente più freddi, sull’intero pianeta e periodi interglaciali, mediamente più caldi, ancora su tutto il pianeta. Di conseguenza, le aree equatoriali e le aree polari si sono alternativamente contratte ed allargate, senza mai scomparire. Tigri e leoni hanno continuato a cacciare gazzelle e zebre nella jungla e nella savane; balene hanno continuato a nutrirsi di crill; gli uccelli hanno continuato a migrare schivando, da buoni aviatori, le perturbazioni, a spese di qualche vittima; i coralli hanno continuato a crescere e a morire inseguendo il livello del mare. Questo non significa che non ci siano stati drammi (dove è il dramma in una sequenza come: un arbusto cresce su un suolo reso fertile dalla carcassa di un elefante ed è mangiato da una zebra a sua volta predata da un leone che darà alla luce un leoncino che se non mangerà la zebra sarà mangiato da una iena?): il mondo attuale è il risultato di un’alternarsi e susseguirsi di fatti estremi, come la nascita e la morte, che hanno condotto all’oggi. Quelle variazioni climatiche che hanno imposto migrazioni di specie animali e vegetali - e che forse sono alla base dell’affermarsi di Homo sapiens sapiens sull’Uomo di Neanderthal, verosimilmente un sapiens meno evoluto – hanno fatto scomparire alcune di quelle specie; ma altre ne hanno fatte affermare, anche in aree diverse dalle originarie. Il paesaggio di aree delle medie latitudini come quelle del Mar Mediterraneo è cambiato significativamente e ciclicamente in questo ultimo milione di anni. Si è passati da climi freddi steppici a climi caldi tropicali con acmi caratterizzati da periodicità di circa 130mila anni. Ad ogni cambiamento climatico è corrisposta una variazione delle acque disponibili al mare e quindi del suo volume circa nello stesso contenitore. Il livello del mare si è alzato più volte al di sopra di quello attuale in ogni periodo interglaciale con clima tropicale perché l’aumentare delle temperature medie ha portato in fusione grandi quantità di ghiacci continentali; l’ultimo periodo interglaciale, con acme circa 125mila anni fa, ha visto il mare sollevarsi di circa 6 m rispetto a quello attuale. Così, di contro, esso si è abbassato ben al di sotto di quello attuale ogni volta che le basse temperature del pianeta hanno fatto aumentare i volumi dei ghiacci in montagna, trattenendo acqua e riducendone le quantità che si riversavano in mare. Gli ultimi periodi glaciali hanno visto il livello del mare abbassarsi sino a 150 m rispetto a quello attuale.

Sempre le variazioni climatiche hanno imposto differenti circolazione delle perturbazioni atmosferiche e delle correnti marine ma anche delle percentuali di gas presenti in atmosfera: circa 130mila anni fa in atmosfera era presente più CO2 di quella che vi è oggi … e non era colpa dell’uomo!

Abbassamenti ed innalzamenti del livello del mare, variazioni dell’energia del rilievo, variazioni delle precipitazioni, sollevamenti del continente indotti dalle residue spinte o dagli assestamenti dell’Appennino ma anche delle catene montuose Dinaridi, Ellenici e Albanidi oltre il Mare Adriatico, hanno contribuito a modellare il paesaggio attuale negli ultimi circa 800mila anni fa. Un continuo alternarsi di accelerazioni e decelerazioni di processi morfogenetici da parte di una macchina complessa, tanto complessa, governata da tante variabili di cui ne conosciamo bene alcune ma di cui poco sappiamo delle reciproche relazioni funzionali di quelle stesse con tutte le altre.




Inquadramento Geologico-Geomorfologico

Da un punto di vista geologico l’area di Taranto e dei suoi immediati dintorni è marcata dalla presenza di una successione caratterizzata - dal basso verso l’alto – dalla presenza di calcari Mesozoici (Calcare di Altamura), di calcareniti ed argille del Plio-Pleistocene (Calcarenite di Gravina ed Argille Subappennine) e di depositi calcarenitici trasgressivi del Pleistocene medio e superiore (Ricchetti, 1967, Ricchetti et alii, 1988).

L’intero paesaggio fisico è caratterizzato da una serie di terrazzi marini disposti a gradinata, debolmente inclinati verso mare (Ciaranfi et alii, 1988) e da una serie di depressioni di forma sub-ellittica; tre di queste oggi sono occupate dal Mar Grande e dai due seni del Mar Piccolo. Tale conformazione è il risultato della combinazione del sollevamento regionale (Doglioni et alii, 1994), delle variazioni glacioeustatiche del livello del mare (Belluomini et alii, 2002) e delle variazioni di energia del reticolo idrografico ad esse strettamente connesse (p.e.: Mastronuzzi & Sansò, 1993, 1998, 2003). Esse hanno permesso prima di depositare nell’area di Taranto fra 800mila e circa 200mila anni fa depositi calcarenitici/sabbiosi (lo zuppgino e il mazzaro descritti da Verri e De Angelis D’Ossat, 1898) e depositi argillosi; e quindi, sopra di esse, fra circa 130 e circa 80mila anni fa altri depositi calcarenitici riccamente fossiliferi (il carparo descritto da Verri e De Angelis D’Ossat, 1898).

Tutta la zona di Taranto all’intorno delle insenature del Mar Piccolo e del Mar Grande è, infatti, caratterizzata dalla presenza di un corpo calcarenitico ben cementato di spessore variabile sino a circa 20 m che poggia su argille. Il corpo calcarenitico ha i massimi spessori sull’isola verso SSW e il Mar Grande; tende a diminuire, gradualmente, in direzione SSE verso il Borgo, e NNW verso il Rione Tamburi e, bruscamente, a NNE verso il salto di quota che si affaccia sul Mar Piccolo. Nell’area del canale di Porta Napoli il contatto tra questo corpo calcarenitico e le sottostanti argille pleistoceniche è supposto a circa -10 m rispetto il livello del mare. Lo spessore del corpo roccioso tende quindi a diminuire gradualmente verso il Borgo e verso il rione Tamburi in senso parallelo; in senso meridiano esso è massimo verso il Mar Grande mentre diminuisce bruscamente verso il salto di quota che si affaccia sul Mar Piccolo. L’unità è costituita da sabbie medio-fini e grossolane; in più luoghi di affioramento essa mostra una laminazione incrociata a basso angolo, spesso a “spina di pesce”, o piano parallela che indica l’esistenza di paleocorrenti da e verso l’area attualmente occupata dal Mar Piccolo. Frequenti sono gli accumuli di gusci di organismi spiaggiati rappresentati tanto da bivalvi essenzialmente dei generi Glycymeris, Cardium e Cerastoderma spp. quanto da gasteropodi dei generi Bittium, Conus, Gibbula e Turritella spp.. Frequenti e molto ben conservate sono bioturbazioni di Echini fossori (Fig. 5). L’insieme dei caratteri ne indicano l’origine quale una complessa barriera sabbiosa prevalentemente sommersa che divideva un’area di mare più aperto dove oggi è il Mar Grande da un’area protetta e semichiusa ove oggi è il Mar Piccolo. Nel corpo roccioso calcarenitico è scavato il Canale Navigabile che ha fatto della Città vecchia un’isola. In esso sono scavate tutte le fondazioni e gli ipogei della città di Taranto e sono aperte cave a cielo aperto di età greca e romana. Al tempo stesso esse rappresentavano area di cava per il materiale necessario ad edificare, ma anche aree da dedicare alla conservazione delle derrate. I caratteri litologici di questo corpo roccioso ben cementato ma anche facile da cavare lo hanno reso materiale ideale per la costruzione, tanto che la quasi totalità degli edifici più datati della città vecchia è realizzata con questa pietra. Il carattere di permeabilità e la presenza di sottostanti argille lo hanno reso ideale acquifero così che scavare in esso significava avere l’acqua di fonte in casa. L’ipogeo Bellacicco mostra in tutto tali caratteri tanto da raccogliere un flusso concentrato di acque, capace di individuare una fonte al secondo livello di calpestio dal piano campagna. Nelle parti più basse dell’ipogeo sono anche riconoscibili rivestimenti delle pareti realizzati con blocchi di sedimenti di natura limoso argilloso dal colore giallo-senape. Essi rappresenterebbero le parti superficiali delle argille pleistoceniche cavate in altre aree e portate in sede per impermeabilizzare le pareti di quelle stanze.

Verso est e verso ovest tale unità passa a depositi di mare di facies differente, spesso algali, caratterizzati dalla presenza di fauna senegalese (sensu Gignoux, 1911a,b) a Strombus bubonius Lamarck, Cardita calyculata senegalensis (Reeve) Hyotissa hyotis (Linneo) (p.e.: localià la Croce, Punta Penne, Il Fronte, Masseria Abateresta)). Verso nord e quindi lungo le sponde del Mar Piccolo il deposito biocalcarenitico è sostituito da marne con vere e proprie scogliere fossili del corallo Cladocora caespitosa Linneo (località Santa Teresiola), e sabbie di spiaggia cementate con livelli a Strombus, Glycymeris e Cerastoderma spp spiaggiati (p.e.: località Casa D’Aiedda, Le Lamie, Putrano, Pozzella), a sabbie cementate a laminazione incrociata di duna (p.e.: località Le Lamie, Masseria Baronia) e depositi di transizione con abbondante componente continentale di fluitazione (p.e.: località Punna Penne, Santa Teresiola, Masseria Natrella) (cfr: Cotecchia et al., 1969; Dai Pra e Stearns, 1977; Caldara e Laviano, 1980; Mastronuzzi, 2001, Mastronuzzi e Sansò, 2003). Dati radiometrici indicano che questi depositi si sono accumulati in un periodo di tempo che va da 132 a 76 ka (Dai Pra e Stearns, 1977; Hearthy e Dai Pra, 1992; Belluomini et al., 2002) corrispondente al Marine Isotope Stage 5 (MIS 5) (Shackleton, 2000) noto nel Bacino del Mediterraneo come Tirreniano (Issel 1914; Dépéret, 1918). La presenza della fauna senegalese farebbe propendere per un accumulo verificatosi in particolare fra 132 e 116 ka (Ferranti et al., 2005) in corrispondenza del MIS 5.5 e del massimo aumento di temperatura mondiale, caratterizzato da un clima nel bacino del Mar Mediterraneo ben più caldo dell’attuale con una temperatura superficiale del mare (SST) di circa 3,2° C più alta dell’attuale (Peirano et al., 1994; Zazo, 1999, Peirano et al., 2004) e dal suo livello più alto di ~ 6 ±3 m rispetto all’attuale (Lambeck et al., 2004). La zona di taranto sarebbe così ben rappresentativa di tale perodo geologico che è stato più volte proposto di chiamre questo periodo con il nome di Tarantiano (Cita e Castrodori, 1994; 1995; Antonioli et al., 2008).




La rete idrografica

Nell’area di Taranto è ben evidente un reticolo idrico a pattern geometrico subrettangolare con orientamento degli assi principali in direzione E-O e di quelli secondari in direzione NNE-SSO e NO-SE. Oggi esso è caratterizzato da portate effimere, ma che diventano sostanziose in corrispondenza di eventi meteorici importanti (cfr.: Gagliardo, 1811; Mastronuzzi e Sansò, 1993; Mastronuzzi, 2001; 2006). Gli allineamenti più definiti della rete idrica superficiale sono circa coerenti ai principali lineamenti tettonici dell’area (Martinis, 1970; Martinis e Robba, 1967; Auroux et al., 1985; Pagliarulo e Bruno, 1990). Essi corrispondono all’asse di allungamento del Canale d’Aiedda - Leverano D’Aquino che scorre nel suo bacino più alto con reticolo orientato NNE-SSO per poi assumere un allineamento E-O dopo aver inciso con caratteri di epigenesi l’alto strutturale di San Giorgio. Circa lo stesso allineamento ONO-ESE si riconosce per il canale che sfocia presso Mare Chiaro, nel Mar Grande. Gli allineamenti E-O e NNE-SSO corrispondono agli assi maggiori delle tre depressioni subellittiche del Mar Grande e del Mar Piccolo. Il fondo del Mar Grande è, infatti, segnato da una profonda incisione che lo attraversa con allineamento NNE-SSO, dal Canale di Porta Napoli sino al canale che separa l’isola di San Paolo da Capo San Vito.

Un tempo, nell’ultimo dei periodi glaciali, durante il quale l’abbassamento del livello del mare ha determinato una estesa emersione dei fondali marini e quindi ha affermato ambienti continentali, in condizioni di energia del rilievo maggiore e con maggiori portate, i corsi d’acqua di questo stesso reticolo furono in grado di incidere profondamente tutta la successione geologica locale sino al basamento mesozoico. Fra circa 50 e circa 15mila anni fa le acque continentali, da noi presenti perché il clima pur più freddo non consentiva la formazione di ghiacci, hanno scorrevano in valli fra colline tabulari: un po’ come se guardassimo oggi, immaginando fiumi più importanti, l’area di Montemesola (mesola… guarda un po’!), Crispiano, San Giorgio etcc. Quelle valli sono poi state invase e rielaborate dal mare quando con il variare del clima in senso caldo e con l’aumentare delle acque in mare, esso ha iniziato a trasgredire sul continente a partire da circa 15mila anni fa e per tutto l’Olocene sino ad oggi (Mastronuzzi e Sansò, 1998). I venti regnanti e dominanti hanno generato nel tempo all’interno dei due bacini un moto ondoso che lentamente è stato capace di allargare, rispetto alle principali direzioni di provenienza, quelle valli demolendone i fianchi modellati nelle poco resistenti argille. Oggi sono definite da falesie e, al loro piede, da piccole spiagge stagionali;. La migrazione verso monte del livello di base di quei fiumi ha comportato la formazione di due apparati deltizi: la Palude la Vela – organizzato in ambienti umidi e di pregevole valore ambientalistico -, nel secondo seno del Mar Piccolo, e presso Mare Chiaro nel Mar Grande (Mastronuzzi, 2001).

In entrambi i casi il carattere erosivo delle forme è evidenziato dalla esclusiva presenza lungo le coste di ripe di abrasione in continuo arretramento come riportato da Gagliardo (1811) e, quindi, da Blandamura (1925) e Speziale (1930). Mirabili descrizioni sono nelle stesse annotazioni riportate sulla prima dettagliata cartografia conosciuta dei luoghi, risalente alla II metà del XVI sec. e sui primi portolani come il “Compasso da Navigare” del ‘200 (Mastronuzzi e Marzo, 1999).

In corrispondenza di porta Napoli oggi il canale è estremamente stretto e poco profondo. Una parte di quella soglia è dovuta all’accumulo di detriti antropici dopo la ricostruzione di Taranto mentre il materiale sabbioso sottostante costituisce il riempimento naturale accumulatosi in quell’area, protetta da Capo Tondo e dall’istmo della Città Vecchia, dopo che nella fase di risalita il mare si è attestato in prossimità dell’attuale isobata 2 m circa 2000 anni fa per poi raggiungere la posizione attuale (Lambeck et al., 2004; Auriemma et al., 2004; 2005).




Alla rete idrica principale si congiunge una rete accessoria cui fa parte la depressione che limitava l’acropoli verso est, citata dagli storici delle guerre Annibaliche che nel 210 a.C. circa permise il trasferimento verso il Mar Grande della flotta tarantina, chiusa nel Mar Piccolo. Questa depressione fu quindi approfondita a più riprese per servire da difesa verso est e quindi, con il taglio del canale navigabile, per permettere l’accesso nel Mar Piccolo a grandi unità navali (p.e.: Gagliardo, 1811; Speziale, 1930)




Uomo e paesaggio

La continua presenza dell’uomo nell’area di Taranto, probabilmente a causa delle favorevoli condizioni ambientali, è stata contraddistinta da un relativamente elevato numero di abitati e conseguentemente di abitanti (Porsia e Scionti, 1989; Gorgoglione, 1999). Così, la necessità di meglio accogliere le strutture insediative in funzione delle fasi di espansione demografica e/o industriale ha comportato una profonda riorganizzazione antropica dell’orografia dei luoghi in contrapposizione alla dinamica naturale (Mastronuzzi, 2006). Di conseguenza, l’attuale andamento del paesaggio è attribuibile al sovrapporsi di modifiche di origine antropica e a fenomeni di erosione dovuti al moto ondoso che spesso provoca la demolizione della falesia con movimenti in massa. Esempi di arretramento per scalzamento al piede sono diffusi in più località come quelli, documentati, che hanno comportato anche la perdita di strutture poste a difesa della città a partire dal XI secolo (Speziale, 1930).

Nel tempo, sono stati eseguiti numerosi studi con l’obiettivo di ricostruire l’evoluzione della orografia dell’area di Taranto (Lo Porto, 1970; Lippolis, 1981, 1994, 2001; Viola, 1881, 1883, 1884, 1894; Mastronuzzi, 2001; 2006). Il sovrapporsi delle fasi antropiche verificatesi nel corso dei secoli ha reso difficile l’identificazione corretta e dettagliata della superficie topografica precedente le fasi di colonizzazione ed ancora importanti dubbi sussistono circa la distribuzione e l’organizzazione sul territorio delle più importanti aree urbane nelle varie epoche storiche. Ancor di più, ciò è difficile, se si pensa che l’intera area urbana oggi corrispondente alla città di Taranto è stata modificata dal susseguirsi di opere di spianamento e di colmata a seguito di importanti fasi di antropizzazione e di riorganizzazione della città.

Tra le più antiche descrizioni della morfologia dell’area di Taranto è quella di Strabone “…tra il fondo del porto e il mare aperto si forma un istmo, sicché la città sorge su una penisola e poiché il collo dell' istmo è poco elevato, le navi possono essere facilmente trainate da una parte all'altra…” (da Strabone, Geografia in Biffi1988). E’ opinione diffusa che le prime consistenti fasi di modifica della superficie topografica originaria della città di Taranto risalgano al 968 d.C., quando, dopo le distruzioni operate dai Saraceni nel 927 d.C., fu riedificata su progetto di Niceforo Foca (Speziale, 1930; Lippolis, 1981; Mastronuzzi, 2006). In quella occasione, gran parte delle rovine della città furono riutilizzate per colmare il salto di quota in direzione Mar Piccolo, e ottenere nuove superfici determinando un’avanzata verso mare della linea di costa. Così, la città, pur mantenendo il nucleo originario che si ergeva sull’altura dove è oggi presente il complesso della chiesa di San Domenico, si è ampliata sempre più in direzione Mar Piccolo.

Parte della penisola descritta da Strabone, l'isola è divenuta tale solo con il primo taglio dell’istmo eseguito durante la realizzazione, nel 1481, del fossato del Castello Aragonese. Solo dopo l’Unità d’Italia esso fu trasformato ampliato, approfondito e rettificato per ottenere il canale navigabile a permettere il transito fra il Mar Piccolo e il Mar Grande ad unità navali di grandi dimensioni.

La posizione del livello del mare circa 2/3000 anni fa doveva necessariamente determinare la presenza di un’ampia spiaggia ai piedi del salto di quota presente sul lato settentrionale della penisola, più protetto (De Vitiis, 1991), allora ancora collegata alla terraferma. Il suo lato meridionale era invece marcato da una falesia in arretramento per il frangere del moto ondoso generato da venti del II quadrante. In quell’epoca il Mar Piccolo – già ben definito – era in collegamento con il Mar Grande solo attraverso l’apertura oggi sovrastata dal Ponte di Pietra. La lama d’acqua era molto più alta di quella attuale oggi limitata a soli un paio di m; verosimilmente permetteva il passaggio agevole delle navi dell’epoca dalla insenatura definita e protetta dallo scuggh’ rutunn’ (solo poi divenuto Scoglio del Tonno) già sede delle testimonianze del primo approdo miceneo.

L’area occupata dall’attuale città vecchia era quindi collegata alla terra ferma ma era più stretta ed allungata e la sua sommità, già sede di un insediamento neolitico, era relativamente più elevata in quota. Il facile accesso e la presenza di una spiaggia protetta suggeriscono che le are portuali – o più propriamente le aree di approdo – corrispondessero a queste spiagge come pare confermato dalla presenza di aree di stoccaggio quali quelle dell’ipogeo Delli Ponti e di quelle prospicienti, ormai di epoca romana, scavate nel banco calcarenitico che rappresenta l’ossatura della penisola (De Vitiis, 1991).




Conclusioni

L’insieme dei dati geologici, geomorfologoco e stratigrafici disponibili (i.e. Mastronuzzi, 2001; 2006; Mastronuzzi e Sansò, 2003 e bibliografia ivi riportata) permettono di ricostruire le seguenti importanti fasi di modificazione del paesaggio dell’intera area di Taranto:


1milione/800 mila >T> 200 mila anni fa: deposizione delle calcareniti (zuppigno), delle argille e delle sovrastanti calcareniti e sabbie (mazzaro) su cui sarà modellata l’area di Taranto;


200>T>135mila anni fa: periodo glaciale con clima freddo; incisione di una profonda valle fluviale nelle argille Plio-Pleistoceniche del basamento locale;


132>T>116mila anni fa: acme interglaciale con clima tropicale; ingressione marina nella valle fluviale e deposizione in esso del cordone calcarenitico (carparo) su cui è costruita la Città Vecchia con delimitazione della baia protetta in cui migrò e fiorì la fauna tropicale, oggi conservata allo stato fossile;


116>T>76 mila anni fa: fase interglaciale con clima ancora tropicale; fase di terrazzamento caratterizzata dal veloce e polifasico abbassamento del livello del mare;


T≈20mila anni fa: acme del periodo glaciale con clima freddo; compimento della regressione del mare sino a -150 m sotto la posizione attuale, erosione fluviale e incisione del reticolo idrografico comprendente le valli del Mar Piccolo e del Mar Grande;


15-6/7mila anni fa: riscaldamento del clima sul pianeta; rapida trasgressione del livello del mare e invasione delle valli fluviali con successione di fasi di modellamento del Mar Grande e del Mar Piccolo in luogo delle precedenti valli fluviali;


6/7 -2 mila anni fa: compimento della fase più veloce dell’ingressione marina e inizio dello sbarramento del Mar Piccolo; l’erosione marina del moto ondoso tende ad allargare le valli fluviali modellando le forme sub ellittiche dei mari di Taranto dovute alla rifrazione e diffrazione del moto ondoso e dalla ridistribuzione del sedimento;


2 mila anni fa: stazionamento del livello del mare a circa -2 m rispetto la posizione attuale;


fine del X sec.:interrimento dell’aria di piazza fontana e in parte del Lungomare Garibaldi con l’utilizzazione dei materiali di risulta derivanti dalla distruzione della città nel 928 e dalla sua successiva ricostruzione nel 968;


fine del XII sec.: primo approfondimento del fossato del castello;


fine del XIX sec.: taglio e costruzione del canale navigabile; modificazione dell’andamento della linea di costa nell’area occupata dall’Arsenale Militare;


Prima metà del XX sec.: regolarizzazione dell’orografia dell’area del borgo e del Lungomare Vittorio Emanuele III con la messa in posto di spessori di materiali di risulta sino a 9m.






















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