giovedì 23 aprile 2015

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Virgilio a Taranto







Ricordo che sotto le torri della rocca di Taranto, dove il Galeso ricco di ombre bagna i campi biondeggianti, ho visto un vecchio di Corico, che aveva pochi iugeri di terra abbandonata, e quella terrra non era fertile, se lavorata dai buoi, né adatta all'allevamento, né alle viti. Tuttavia questi, piantando un po' d'erba, qua e là, gigli, verbene e papaveri commestibili, eguagliava in cuor suo le ricchezze dei re e, tornando a casa a tarda sera, riempiva la mensa di cibi non comperati. Per primo coglieva le rose a primavera e i frutti in autunno, e quando il triste inverno spaccava ancora le pietre con il freddo e con il gelo fermava il corso dei fiumi, egli già tagliava la chioma del molle giacinto, irridendo il ritardo dell'estate e l'indugio degli zefiri. Quindi sempre per primo aveva in abbondanza api feconde e denso sciame e raccoglieva il miele schiumoso, spremuto dai favi. Aveva anche tigli e pini fecondi, e di quanti frutti nella nuova fioritura si era rivestito l'albero fecondo, altrettanti in autunno ne restituiva maturi. Sapeva disporre gli olmi adulti in filari e i peri durissimi e pruni selvatici che producevano già le prugne e platani, che offrivano ombra a chi beveva.

Virgilio

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